Le Storie

Interviste

La ricerca sul campo ci ha permesso di conoscere molte persone: istituzioni e associazioni locali, pastori ed ex pastori transumanti, semplici cittadini e/o appassionati che ci hanno aiutato a ricostruire i percorsi e ci hanno fornito preziose testimonianze sulla vita agro-pastorale dei territori interessati.

LEONELLO AMATI, PASTORE TRANSUMANTE DI TREVI NEL LAZIO

Foto di Leonello Amati

Leonello Amati, oggi vive stabilmente a Latina, ma è originario di Trevi nel Lazio. Da sempre allevatore e pastore transumante, tiene vivo il legame tra l’Agro Pontino e i monti Simbruini: ogni anno, per mezzo di autocarri, insieme a suo figlio e suo nipote, porta gli armenti a Cappadocia (AQ).

“Sono nato in transumanza 91 anni fa: la prima volta che mia madre mi ha portato a Trevi avevo due mesi e pensa…ancora oggi con mio figlio e mio nipote porto le bestie a Cappadocia. Sono cinquant’anni che le portiamo lì, adesso con i camion: l’ultima volta che l’ho fatta a piedi è stato nel 1973. Mi ricordo che quando tornavamo dai Simbruini ci portavamo pane, acqua e vino dentro alle “bisacce” e ci fermavamo sempre ad Artena, dove c’era un ristorante di un signore di Vallepietra: lui ci preparava la minestra con i fagioli e ci metteva il disco della Santissima Trinità. Era una festa. Nelle paludi Pontine dovevamo costruirci le capanne da soli, a Trevi invece avevamo la casa e quando andavamo al pascolo ci riparavamo con l’ombrello di notte se pioveva e ci coprivamo con 3 o 4 pelli di pecora. Ne abbiamo fatti di sacrifici noi, al tempo delle ciocie!  Non potete sapere e non potete neppure immaginare come vivevamo noi dentro le capanne.  Adesso ci sono alberghi a non so quante stelle, ma quello nostro era grande veramente!  Dovevamo costruirci la capanna da soli: andavamo a tagliare i paletti, si chiamavano i piedi per tenere in piedi la capanna, i coregli che partivano dai piedi e andavano sopra, poi dovevamo fare le verie, tutte perteche verdi che giravano intorno. Poi per fare la copertura usavamo la paglia se stavamo vicino a un pantano altrimenti le ginestre. A quell’epoca ci volevano le cineprese per lasciare la storia: io ve la posso raccontare, ma le fotografie chi le faceva? Io mi sono sposato ad Anzio nel 1952 e non ho neppure una fotografia di quel giorno”.

LORENZO ARNONE SIPARI, STORICO E FILOLOGO DI ALVITO

Foto di Lorenzo Arnone Sipari

Lorenzo Arnone Sipari, storico e filologo italiano. Residente nella Valle di Comino, ad Alvito, e membro di una storica famiglia abruzzese legata alla tradizione pastorizia, con residenze nobiliari a Pescasseroli e ad Alvito. La sua famiglia nel 1800 è stata proprietaria di una importante industria armentizia. Ad Alvito e a Pescasseroli sono presenti gli archivi storici della famiglia Sipari che custodiscono un patrimonio documentale prezioso per la ricostruzione della tradizione della pastorizia tra Lazio, Abruzzo e Molise.

“La mia famiglia materna ha operato nell’ambito dell’economia pastorale del regno di Napoli e in particolare nella pastorizia transumante. Il palazzo Sipari di Alvito è stato costruito proprio con il ricavato di un anno di pastorizia transumante. Lo costruì Carmelo Sipari in occasione del suo matrimonio con Cristina De Marchesi Cappelli, la sorella del Senator Cappelli, presidente della Società Geografica Italiana nel 1910. La famiglia Sipari è stata importante anche per la parentela con Benedetto Croce, sua madre era sorella di Carmelo Sipari. Croce, nei suoi scritti, mette in rilievo che la famiglia Sipari avesse il gregge di pecore transumanti più numeroso di tutto il Regno di Napoli: 15.000 capi di ovini, e che partendo dal mestiere di conciatori riuscì a diventare una famiglia rinomata nell’industria armentizia. Si trovano ancora segni del passaggio della famiglia Sipari nella toponomastica attuale (ad esempio masseria Sipari nei pressi di Foggia o colle Sipari vicino Fontechiari). La mia passione più grande, indotta anche dal retaggio familiare, è quella di utilizzare i documenti storici per ricostruire e testimoniare gli spostamenti e le attività economico sociali delle famiglie dedite alla pastorizia, che lavoravano 8 mesi all’anno sui tratturi. Io credo che sia importante integrare le fonti private a quelle istituzionali. Bisognerebbe partire dalla periferia, dagli archivi più piccoli, in cui sono custoditi documenti molto interessanti, come l’Archivio comunale di Alvito”.

DONATELLA CEDRONE, PASTORA TRANSUMANTE E IMPRENDITRICE AGRICOLA DI SAN DONATO VAL DI COMINO

Foto di Donatella Cedrone

L’azienda Agricola Cedrone si trova all’ingresso del paese di San Donato Val Comino ed è attiva da 4 generazioni seguendo i canoni del regime biologico e ottenendo nel 2015 la certificazione. L’Azienda alleva prevalentemente ovini e produce formaggi, carne e olio, dispone, inoltre, di una tartufaia di nero pregiato. La pastora Donatella Cedrone pratica ancora la transumanza a piedi sui tratturelli della Valle, si tratta di una transumanza di tipo verticale che dal paese di origine conduce ai pascoli d’alta quota ai confini con l’Abruzzo e il Molise.

“Nessuno mi ha obbligato a fare questo lavoro. Sono nata e cresciuta in mezzo agli animali e ho sviluppato una grande passione, indispensabile perché non esistono ferie, giorni di malattia o feste: si lavora 365 giorni all’anno, gli animali hanno bisogno di tante cure e tu devi essere dedito a loro, come con un figlio. Il fatto di essere una donna non facilita per niente la situazione. È molto difficile inserirsi nel mondo dell’allevamento perché la maggior parte degli uomini non prende minimamente in considerazione quello che dici. Spesso le mie idee e le mie proposte sembra non abbiamo alcun valore solo perché sono donna. Sono stata derisa, è vero, ma la mia passione è talmente grande che sono riuscita a farmi strada lo stesso e farmi valere. Oggi gestisco, con molta soddisfazione, l’azienda agricola di famiglia. Sono perito agrario e vorrei riprendere a studiare Interior Designer, ma non abbandonerei mai questo lavoro, fa parte di me”.

ELISA CEDRONE, IMPRENDITRICE AGRICOLA E GUIDA AMBIENTALE ESCURSIONISTICA DI SAN DONATO VAL DI COMINO

Elisa Cedrone

Elisa Cedrone, imprenditrice agricola e guida ambientale escursionistica. Gestisce con la sua famiglia l’azienda “Le case marceglie” a San Donato Val di Comino. Le tecniche e i saperi per coltivare ed allevare le sono stati tramandati da generazioni di agricoltori e allevatori, infatti l’azienda ha origini antiche: la presenza e le attività sul territorio della Valle di Comino risalgono al 1600.
“Tutto quello che so lo devo ai miei nonni, zii e genitori che mi fin da quando ero piccola mi hanno raccontato le storie legate alla montagna e al suo utilizzo: come si costruivano gli stazzi, le recinzioni, la piantumazione degli alberi, i muretti a secco per la tutela dei versanti montani, le trazzere per il passaggio delle vacche… tutto ciò che è legato alla vita di questi luoghi. Questi racconti mi hanno formato e ora mi piace tramandarli ai giovani che vengono a trovarmi alla fattoria didattica. Mi dispiace quando la transumanza viene sminuita, si tratta di un lavoro di sacrificio e impegno costante, che ti porta a stare per mesi, 24 ore al giorno, in montagna, sotto il sole, con il vento forte, la grandine e la neve. Negli ultimi anni, in occasione dell’alternanza scuola-lavoro, sono venuti tanti giovani pastori a vivere l’esperienza della transumanza con me, ragazzi appassionati e orgogliosi di portare avanti le tradizioni pastorali delle loro famiglie, questo mi rende molto felice”.

ACHILLE D’OTTAVI, GIOVANE ALLEVATORE DI TREVI NEL LAZIO

Foto di Achille d'Ottavi

Achille è un giovane allevatore di Trevi nel Lazio. Gestisce l’azienda agricola di famiglia Alto Aniene D’Ottavi e, insieme a due suoi amici, l’Ostello Colle Mordani: un ex villaggio pastorale riqualificato dal Parco dei Monti Simbruini e dato in gestione a giovani locali.

“La mia famiglia è originaria di Montereale (AQ), in Abruzzo. Allevatori e macellai da otto generazioni, sono arrivati a Trevi nel Lazio perché transumanti. Io ho deciso di continuare il lavoro di mio padre e dei miei nonni e allevo molti animali, tra capre, pecore, mucche, galline, maiali. Ho 260 capi ovini e caprini: la capra preferisce un pascolo più arboreggiato di alta montagna, mentre la pecora preferisce le pianure qua vicino alla stalla. Non facciamo la transumanza: i nostri animali pascolano nelle montagne di Trevi e noi non li seguiamo più come un tempo: alcuni animali hanno il collare satellitare e riusciamo a tenerli sotto controllo. Fanno all’incirca dieci km al giorno e passano tutti i giorni alla Portella, diciamo che è la loro stalla. Ci vuole un’oretta per salire lassù; sono 2 km ma gli animali salgono al pascolo piano piano. Produciamo formaggi con i prodotti che riesce ad offrire il territorio: usiamo tartufo, peperoncino, rucola, zafferano, noci ecc. Le mie giornate sono tutte uguali: mi sveglio all’alba, mungo gli animali se c’è da mungere e poi vado al pascolo. Alla sera poi, non sai mai quando si rientra.”

L’Ostello Colle Mordani a Trevi nel Lazio.
Foto di Francesca Impei, 2022

ERMINIO NARDONE, PASTORE TRANSUMANTE E IMPRENDITORE AGRICOLO DI LENOLA

Foto di Emilio Nardone

Erminio Nardone, giovane pastore transumante di Ambrifi (Lenola). Gestisce l’“Azienda agricola Pietro Nardone” con la sua famiglia e ogni anno pratica la transumanza con i suoi 150 cavalli dalla provincia di Latina alla Valle di Sangro (Abruzzo), attraversando i comodi tratturelli della Valle di Comino.

 “Mi occupo dell’allevamento di cavalli allo stato brado, abbiamo circa 150 capi, questa passione mi è stata trasmessa da mio padre anche lui allevatore dalla giovane età.  Ho fatto la prima transumanza a tre anni, ricordo che mio padre mi legava stretto sulla sella del cavallo per non farmi cadere e mi portava con lui da Lenola fino in Abruzzo. Oggi, all’età di trent’anni, conduco da solo i miei animali. Verso i primi di giugno partiamo per cinque giorni di viaggio a piedi. Il tragitto che facciamo parte da Lenola e prosegue verso Pastena, San Giovanni Incarico, Roccasecca, Casalvieri, Atina, Ponte Melfa, Picinisco, arrivati al passo dei monaci ci dirigiamo verso Ateleta nella Val di Sangro (Abruzzo). Con mio nonno è iniziato tutto, mio padre ha proseguito e ora ci sono io…finché ce la facciamo continuiamo!”

LORETO PACITTI, PASTORE E IMPRENDITORE AGRICOLO DI ALVITO

Foto di Lorenzo Pacitti

L’azienda agricola Pacitti, attiva da circa due secoli, tramanda di padre in figlio l’esperienza maturata nella cultura della pastorizia. L’allevamento è di tipo semibrado e prevalentemente ovino-caprino. Quotidianamente il bestiame viene condotto al pascolo nei verdi prati della Valle di Comino per garantire prodotti di altissima qualità, dalle ottime proprietà organolettiche. Produce formaggi, tra cui il rinomato Pecorino di Picinisco DOP, e possiede un piccolo spaccio di carni (agnello di Picinisco, arrosticini di pecora, capretto, pollo e coniglio). Gestisce anche l’azienda agrituristica Casa Lawrence e propone pacchetti ecoturistici esperienziali per conoscere le tradizioni e la cultura della Valle di Comino.
“Le mie giornate sono piene e soddisfacenti. È faticoso, ma amo troppo il mio lavoro. Prima i pastori si vergognavano del loro mestiere, oggi invece, grazie a una nuova attenzione e sensibilità verso l’agricoltura sostenibile, il nostro lavoro è stato molto rivalutato. Io sono orgoglioso di quello che faccio. Credo che il mondo dell’agricoltura e dell’allevamento sia il futuro per la sopravvivenza delle aree interne. Con la testa giusta si può fare davvero tanto e bene per i nostri territori. Il mio sogno è quello di promuovere il turismo caseario legato al cicloturismo. Vorrei realizzare La via dei formaggi, un itinerario di turismo sostenibile legato al cicloturismo, con tappa nei diversi caseifici del territorio, per conoscere la gastronomia locale e le storie virtuose di pastorizia che la Valle di Comino custodisce. Mi piace condividere le tradizioni della mia terra. Coinvolgo gli ospiti del mio agriturismo nella raccolta delle olive, facciamo insieme il formaggio, la scuola di pizza”

MAURIZIO PAGLIARA, PRESIDENTE ASSOCIAZIONE CAVALIERI DEI TRATTURI DELLA VALLE DI COMINO

Foto di Maurizio Pagliara

Maurizio Pagliara è il Presidente dell’Associazione di promozione sociale “I cavalieri dei tratturi della Valle di Comino”. Negli ultimi anni insieme ai soci dell’associazione ha creato il “Parco equi turistico della Val Comino”, una rete di itinerari percorribili a cavallo e a piedi che attraversano il territorio della Valle, dalla pianura alla montagna.

“Nel corso di questi anni, insieme ai volontari della mia associazione abbiamo tracciato circa 140 chilometri di sentieri che costituisco un importante corridoio naturale tra il Parco Nazionale Abruzzo, Lazio e Molise e la Riserva del lago di Posta Fibreno. Il nostro obiettivo è riattivare l’utilizzo della montagna in modo responsabile attraverso la formazione nelle scuole. Ci occupiamo anche del recupero e smaltimento dei rifiuti abbandonati negli anni sui sentieri attraverso delle opere di bonifica. Un esempio è la bonifica portata avanti insieme al Soccorso Alpino a fossa Maiura, una immensa dolina carsica. Il nostro sogno è creare un cammino storico religioso che unisca l’Abbazia di Montecassino al Santuario di Canneto. Sarà un percorso complesso e lungo ma noi ce la metteremo tutta”.

MARIA PIA, PASTORA TRANSUMANTE DELLA VALLE DI COMINO

Maria Pia, pastora transumante e imprenditrice agricola di Picinisco. Gestisce con la sua famiglia l’“Agricola San Maurizio”, caseificio della Valle di Comino. L’azienda, attiva da più di trent’anni si occupa di allevamento ovino, caprino e bovino. Promuove la valorizzazione della DOP del Pecorino di Picinisco e l’antica produzione della marzolina, la cui ricetta è tramandata dalle generazioni che transumavano sui monti Aurunci, dove la marzolina ha avuto origine. Ogni anno organizza l’evento pubblico “Transhumanus” che ripercorre uno storico sentiero armentizio per condividere le emozioni della pratica della transumanza e far conoscere la tradizione pastorizia locale.

“La transumanza è un momento molto particolare del mio lavoro. È legato a qualcosa di atavico. Se io incontro degli animali in transumanza, anche se non sono i miei, mi commuovo, c’è qualcosa di ancestrale nello spostamento, qualcosa che nell’età moderna abbiamo un po’ dimenticato. I pastori si muovevano in base ai pascoli e al benessere dei loro animali, per la loro sopravvivenza. Io non so fino a quando riusciremo a fare la transumanza. Ogni anno pensiamo che sia l’ultima volta visto il sacrificio che c’è dietro, ci chiediamo fino a quando sarà sostenibile fare tutto questo. Al tempo stesso siamo consapevoli che il nostro contributo è importante per l’ecosistema montano, per gli animali, per la biodiversità e la salubrità dei pascoli, però c’è un rovescio della medaglia importante per quanto riguarda la fatica. Io credo che la pastorizia debba essere salvata, per il futuro delle aree marginali, non solo da noi pastori ma anche da un sostegno esterno dal punto di vista normativo ed economico. A volte mi chiedo cosa sarebbe la vita delle nostre montagne senza i pastori, custodi dei boschi, penso che tutto andrebbe alla deriva. La pastorizia contribuisce a combattere il degrado e l’erosione demografica”.

ORAZIO PROIETTI, EX ALLEVATORE DI CERVARA DI ROMA

Foto di Orazio Proietti

Orazio Proietti è un ex allevatore di Cervara di Roma e memoria storica del piccolo borgo anienense.

“Qua alla montagna di Cervara ci portavano le pecore dalla Campagna Romana. Il comune metteva all’asta la montagna con il sistema della candela vergine: accendevano un cero e il pascolo andava a chi offriva di più prima che il cero si spegnesse. I pascoli si aprivano l’8 di Maggio fino al 30 settembre.

Mi ricordo che arrivavano a piedi da Arsoli e da Subiaco: c’erano due vie mulattiere, quella di Subiaco passava per il fontanile Munistrigliu, che è un fontanile antico: noi ci andavamo a prende l’acqua con le conche. Io non ho mai fatto la transumanza, ma ci sono nato con le pecore, perché vengo da una famiglia di allevatori e macellai: quando ero piccolo andavo con papà alle fiere di bestiame o a Subiaco o a Sant’Anatolia a Gerano. Mio padre mi raccontava sempre della famiglia Tomassi che aveva tante pecore e tutti gli anni le portava qua a Cervara da Palestrina e passavano per Subiaco. Lo sai perché era brutta la transumanza? Perché le donne rimanevano spesso sole, pure appena sposate.

ANTONIO VOLPI, ASSOCIAZIONE L.U.P.A.

Antonio Volpi

Antonio Volpi è figlio di pastori transumanti jennesi e da oltre trent’anni si impegna in attività di animazione territoriale volte alla conservazione e alla valorizzazione del patrimonio culturale legato alla transumanza, con la rievocazione storica della Marcia della Transumanza.

“La Marcia della Transumanza si svolge dal 1993: quest’anno siamo giunti alla trentesima edizione: è nata con l’idea di collegare il quartiere di Anzio Falasche, popolato da discendenti di pastori dei Simbruini,  con il comune di Jenne, paese di transumanti. Noi percorriamo a cavallo lo stesso tragitto che facevano i transumanti e facciamo le stesse tappe: Anzio – Cisterna, Cisterna – Artena o Paliano, Paliano – Jenne. Negli ultimi anni abbiamo coinvolto anche altri paesi che hanno praticato il rito della transumanza come Filettino, Trevi nel Lazio, Cappadocia e Vallepietra. Io sono molto legato a questa pratica, perché sono figlio di transumanti jennesi. Mio padre è nato in transumanza, a Nettuno perché venuto al mondo nel Marzo del 1929. Fosse nato di giugno o luglio, mia nonna lo avrebbe partorito a Jenne: lui ha fatto la transumanza fino al 1953”.

ENZO VOLPI E GIUSEPPINA CAMILLI, EX PASTORI TRANSUMANTI DI JENNE

I coniugi Volpi oggi vivono a Nettuno, ma sono entrambi originari di Jenne: figli di pastori transumanti, hanno migrato stagionalmente dai Simbruini all’Agro Pontino per gran parte della loro vita.

Enzo: “Noi siamo transumanti, figli di transumanti. Passavamo l’inverno a Nettuno e l’estate a Jenne. La montagna apriva al pascolo il 24 giugno e noi restavamo in genere fino alla fine di Settembre. Partivamo a giugno e camminavamo solo di notte, perché di giorno era troppo caldo per le pecore e poi era più facile incontrare le macchine: di notte, invece, si camminava con più tranquillità. Da Nettuno arrivavamo a Cisterna, dove facevamo la prima sosta, poi proseguivamo per lo stradone doganale, fino ad Artena, poi passavamo al Ponte Sacco a Colleferro, ci riposavamo lì e riprendevamo il cammino verso Paliano. Per tutti i transumanti c’era la tradizione di fermarsi a bere il Cesanese al Piglio, prima di arrivare agli Altipiani e proseguire verso Jenne scendendo la via Sotacciara.Le donne ci seguivano sempre, però poteva capitare che al ritorno non avevamo la capanna pronta; quindi magari scendevamo prima noi uomini, facevamo la capanna e poi tornavamo a Jenne a prendere le donne e i bambini. Generalmente, se potevamo, costruivamo le capanne vicino a quelle dei nostri familiari”.

Giuseppina: “All’interno della capanna in genere c’era il fuoco al centro, dove preparavamo pane, pizza e tante altre cose, il tavolo invece era appoggiato alla parete della capanna e una tenda divideva la zona giorno dalla zona notte: le ravazzole erano i nostri letti, che creavamo da soli con bastoni di legno e materiali che trovavamo sul posto, sia i piedi che la rete. Sulla rete poggiavano gli scopigli, cioè i rami della ginestra, e sopra facevamo il materasso – il pagliaccio – con le pannocchie di granturco, e qualche pelle di pecora. Mi ricordo che quando ci siamo sposati stavamo a Jenne e quando siamo tornati a Nettuno avevamo solo la capanna; quindi, abbiamo preso un po’ di ginestre e abbiamo dormito così senza niente, ma credimi Francesca eravamo contenti!

Testo tratto da: Carallo Sara e Impei Francesca (2022), Le vie di transumanza nel Lazio. I monti Simbruini e la Valle di Comino, Società Geografica Italiana.